Nel dibattito sulle pensioni in Italia la scena è dominata da due date: il 2026 e il 2027. Tra misure in scadenza e aggiornamenti tecnici, molti lavoratori si trovano a ricalcolare non solo quando uscire dal lavoro, ma anche quanto percepiranno in termini reali di assegno. Qui non si parla solo di soglie anagrafiche, ma di una serie di variabili tecniche che incideranno direttamente sul reddito da pensione. Riforma Fornero, requisiti e coefficienti sono i termini che ricorrono più spesso nelle discussioni: capirne le dinamiche è fondamentale per pianificare la quiescenza.
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Cosa cambia per il 2026: meno deroghe, più incertezze
Nel corso dell’ultimo intervento legislativo sono state confermate decisioni che incidono sul 2026: alcune misure in deroga introdotte negli anni scorsi non saranno rinnovate oltre la scadenza del 31 dicembre 2025. In concreto, Quota 103 e Opzione Donna non saranno più disponibili come vie alternative per il pensionamento anticipato. Queste opzioni avevano consentito, a una platea limitata, di uscire dal lavoro con regole diverse e spesso con un calcolo contributivo che penalizzava gli importi rispetto al sistema tradizionale.
La perdita di queste possibilità significa che, per molte persone, il 2026 sarà l’ultimo anno utile per usare quelle deroghe. Il cambiamento non riguarda soltanto il “quando” ma anche il profilo economico dell’uscita: chi sfrutterà ancora quelle regole porterà a casa assegni determinati con parametri che, dopo il 2026, saranno sostanzialmente diversi. Legge di Bilancio e scelte politiche hanno lasciato invariato il meccanismo di adeguamento predisposto dalla normativa precedente, e questo si traduce in maggiore incertezza per i lavoratori prossimi alla pensione.
Un dettaglio che molti sottovalutano è che la platea interessata dalle deroghe era limitata ma concentrata in settori specifici; per questo motivo l’effetto sulle casse e sui singoli può risultare variegato sul territorio. Requisiti e regole tecniche rimangono il cuore della questione, e chi sta valutando l’uscita deve considerare tanto i vincoli anagrafici quanto le conseguenze sul montante contributivo.

Perché chi esce nel 2026 percepirà di più rispetto al 2027
La differenza economica tra l’uscita nel 2026 e quella nel 2027 non deriva solo dai requisiti per andare in pensione, ma soprattutto dall’aggiornamento dei parametri di calcolo che scatterà nel 2027. Secondo le regole attuali, il sistema di conversione del montante contributivo in rendita utilizza i coefficienti di trasformazione, che vengono periodicamente aggiornati in funzione dell’aspettativa di vita. Quando l’aspettativa di vita aumenta, i coefficienti diventano più penalizzanti: lo stesso montante di contributi genera una rendita annua inferiore.
Nel caso del sistema contributivo, tipico per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995 o per i periodi successivi in regime misto, la pensione si calcola sul montante rivalutato e moltiplicato per questi coefficienti. Un aggiornamento dei coefficienti previsto dopo i dati ISTAT porterà quindi a una riduzione naturale dell’assegno per chi andrà in pensione nel 2027, anche se ha gli stessi anni di contributi e la stessa età di chi esce un anno prima. ISTAT e gli uffici tecnici ricordano che si tratta di meccanismi automatici, non di interventi discrezionali.
Dal lato del sistema retributivo o misto, le differenze sono meno diffuse ma comunque rilevanti per i pochi casi ancora soggetti a quel calcolo: qui influiscono le regole su quale periodo di retribuzioni venga considerato e come venga integrata la parte contributiva. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è che gli effetti si manifestano in modo diverso nelle regioni dove la carriera media è più breve o frammentata. Importo della pensione, anni di contributi e età anagrafica rimangono i tre elementi che determinano il risultato finale.
Per questo motivo, molti consulenti previdenziali consigliano di analizzare caso per caso: la differenza percentuale sull’assegno può risultare contenuta in alcuni profili e significativa in altri. Una conseguenza pratica è che chi sta valutando l’uscita preferirà spesso anticipare l’addio al lavoro al 2026 per preservare un livello pensionistico più alto; è un effetto che molti lavoratori stanno già considerando nelle loro scelte professionali e di vita.
