Non bastano più laurea e abilitazione: cosa serve davvero per insegnare nel 2025-2026?

Nel corridoio di una scuola si vede subito: chi cerca stabilità controlla attentamente i titoli, chi è più giovane studia i bandi e chi è già dentro aspetta di capire come cambiano le regole. Il reclutamento degli insegnanti in Italia è diventato più strutturato: non basta la buona volontà, servono titoli precisi, percorsi abilitanti e il superamento di procedure concorsuali. Questo testo spiega, con esempi concreti e senza fronzoli, cosa serve per aspirare al ruolo di docente nell’a.s. 2025–2026, quali sono le differenze tra gli ordini scolastici e come muoversi tra concorsi, crediti universitari e supplenze. Un dettaglio che molti sottovalutano: la sequenza delle tappe influisce sulla possibilità di inserirsi nelle graduatorie giuste.

I titoli e i percorsi per ottenere l’abilitazione

Il primo requisito è il titolo di studio valido per la classe di concorso. Per la scuola dell’infanzia e la scuola primaria i titoli previsti sono abilitanti: la laurea magistrale in Scienze della formazione primaria è l’esempio più noto, ma esistono anche altri percorsi riconosciuti. Per la scuola secondaria di I e II grado lo scenario è diverso: serve il titolo disciplinare di accesso più un percorso abilitante che consenta di acquisire i 60 CFU necessari per l’abilitazione.

Il decreto PNRR2 convertito in legge ha rimodulato la formazione iniziale: i 60 CFU (o CFA) rappresentano il nucleo formativo per insegnare nelle medie e nelle superiori. Esistono anche percorsi ridotti (30 o 36 CFU) per chi ottiene il riconoscimento di CFU già maturati, utili come corsi di completamento o per una seconda abilitazione. Per insegnare su posto di sostegno è richiesto il titolo idoneo unitamente alla specializzazione sul sostegno: la specializzazione rimane requisito obbligatorio per lavorare con alunni con disabilità.

Un aspetto che sfugge a chi vive in città: i percorsi abilitanti universitari possono avere tempi e costi diversi nelle sedi regionali, perciò conviene verificare le offerte formative locali e la possibilità di riconoscimento di crediti già acquisiti. In queste fasi è utile dialogare con le rette universitarie e i servizi per l’orientamento, perché la scelta del percorso condiziona l’accesso alle classi di concorso.

Non bastano più laurea e abilitazione: cosa serve davvero per insegnare nel 2025-2026?
Una giovane donna scrive su una lavagna, incarnando il ruolo dell’insegnante moderna che si prepara alle sfide del 2025-2026. – agevolazionibonus.it

Concorso, immissione in ruolo e anno di formazione e prova

Per essere assunti in ruolo è necessario superare un concorso per titoli ed esami, indetto su base regionale. Le prove includono una prova scritta, una prova orale e la valutazione dei titoli: sono questi gli elementi che determinano la posizione in graduatoria e l’eventuale inserimento tra i vincitori. I vincitori già abilitati vengono assunti a tempo indeterminato; chi parte senza abilitazione può invece ottenere una supplenza annuale finalizzata al ruolo, con l’obbligo di conseguire CFU aggiuntivi e superare l’esame abilitante entro il periodo previsto.

L’immissione in ruolo è seguita dall’anno di formazione e prova, che ha caratteristiche precise: il docente in prova deve svolgere almeno 180 giorni di servizio effettivo, di cui almeno 120 giorni dedicati all’attività didattica. Alla fine del percorso è prevista una prova finale e una valutazione del dirigente scolastico; il superamento comporta la conferma in ruolo. Chi ottiene la conferma è vincolato alla prima sede di assegnazione per tre anni, comprensivi dell’anno di prova già svolto.

Per l’a.s. 2025–2026 è prevista una deroga transitoria: chi consegue l’abilitazione entro il termine stabilito dalla normativa può ottenere il passaggio a tempo indeterminato e svolgere l’anno di formazione a partire dalla data del conseguimento dell’abilitazione. Un dettaglio che molti candidati non considerano subito riguarda le scadenze: la tempistica di conseguimento dei CFU e delle abilitazioni incide direttamente sulla possibilità di trasformare una supplenza in contratto a tempo indeterminato.

Strade alternative: supplenze, GPS ed elenchi regionali degli idonei

Non tutti entrano in ruolo attraverso il concorso vincente: una via comune rimane l’inserimento nelle Graduatorie Provinciali per le Supplenze (GPS) e nelle corrispondenti graduatorie d’istituto. Queste graduatorie servono per l’attribuzione di incarichi a tempo determinato, sia annuali (fino al 31 agosto) sia fino al termine delle attività didattiche (fino al 30 giugno). Il meccanismo è usato quotidianamente nelle scuole italiane per coprire sostituzioni e posti vacanti; chi aspira a entrare nel sistema lo sa e frequenta corsi e aggiornamenti per mantenere il punteggio.

Il Decreto Scuola 2025 ha introdotto una novità importante: a partire dall’anno 2026–2027 saranno istituiti gli elenchi regionali degli idonei dei concorsi, che potranno essere utilizzati per coprire cattedre rimaste scoperte dopo le procedure ordinarie. A questi elenchi potranno iscriversi, su base volontaria, gli idonei dei concorsi banditi dal 2020 in poi. È una misura che mira a rendere più fluido il reperimento del personale, ma richiede attenzione: l’iscrizione è facoltativa e soggetta a procedure di aggiornamento annuale.

Un ultimo suggerimento pratico: chi si muove tra concorsi, abilitazioni e GPS dovrebbe consultare regolarmente le comunicazioni del ministero, le circolari regionali e i bandi universitari. Un fenomeno che in molti notano solo nel corso dell’anno è la sovrapposizione di scadenze amministrative e formative, per questo l’organizzazione del calendario personale può fare la differenza tra una supplenza prolungata e l’immissione in ruolo.

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